In concomitanza con la Biennale d’Arte 2019, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, presenta Rothko in Lampedusa, un progetto volto a valorizzare il patrimonio di creatività che i rifugiati portano con sé nella fuga e a proporre una narrazione alternativa rispetto a quella prevalente, per far sì che le persone costrette a fuggire siano considerate non come una massa, o un onere spersonalizzato, ma nel loro pieno potenziale di individui unici, portatori di arricchimento per la società nel suo insieme.
Il progetto espositivo, curato da Luca Berta e Francesca Giubilei, presenta le opere di otto artisti affermati, che hanno vissuto personalmente la condizione di rifugiato o hanno fatto di questo tema un elemento cardine della loro carriera artistica, e di cinque artisti emergenti, oggi rifugiati.
Grazie alle loro opere questi tredici artisti, pur non conoscendosi e avendo fatto esperienze di vita anche molto diverse, condurranno il visitatore lungo un percorso che offrirà uno sguardo nuovo su un argomento tanto attuale. Uno sguardo non solo dall’esterno ma anche dall’interno, poiché per una volta integrerà anche il punto di vista di chi vive la condizione di rifugiato in prima persona.
Dare spazio a queste voci significa lasciare aperte le porte, perché l’arte possa aiutarci a comprendere i fenomeni che l’umanità si trova ad affrontare. E lo farà in modo imprevedibile, come era imprevedibile che quel ragazzino arrivato a Portland nel 1913 sarebbe diventato un giorno il Mark Rothko che conosciamo.
Un progetto incredibile che ci ha coinvolto nella documentazione fotografica